Riceviamo e Pubblichiamo
«La giornata di oggi non può essere solo un esercizio della memoria, ma occorre che rappresenti anche un forte richiamo al dovere etico di ciascuno di noi. Un dovere che, soprattutto per i giovani, deve diventare uno stile di vita da apprendere e coltivare. Ecco allora che, oltre al ruolo imprescindibile della famiglia, diventa fondamentale la formazione scolastica, fin dalle prime classi. Straordinaria, a tal proposito, la sintesi di Gesualdo Bufalino secondo cui “la mafia sarà vinta da un esercito di maestre elementari”».
Lo dichiara il presidente della Regione Siciliana Nello Musumeci, nel giorno delle celebrazioni del 27° anniversario della strage di Capaci.
«Non può esserci, tuttavia, – continua il governatore – un’efficace lotta alla criminalità organizzata che non veda lo Stato in prima fila. Al governo nazionale tocca, infatti, il compito di mettere in campo strategie di contrasto e risorse adeguate per fronteggiare un fenomeno che, ormai da decenni, ha oltrepassato i confini geografici della nostra Isola: le organizzazioni criminali, d’altronde, cercano affari, e quindi attecchiscono lì dove c’è ricchezza, pur mantendo forti le radici nella terra in cui sono nate».
«Stimoliamo – prosegue ancora Musumeci – una riflessione: può essere considerata efficace l’azione dello Stato se nell’ultima manovra finanziaria le risorse destinate alla Giustizia rappresentano poco più dell’uno per cento dell’intero bilancio? E che dire del taglio di quattro miliardi di euro previsto per il mondo della Scuola nei prossimi tre anni? Sono numeri, a mio parere, che rischiano di suonare come una resa».
«E ancora: perché non rivedere – conclude il presidente della Regione – la legge sullo scioglimento dei Comuni per infiltrazioni mafiose, ormai inefficace? Perché non pretendere l’utilizzo dei beni confiscati alla mafia e sottrarli al degrado e all’abbandono? Perché non assicurare l’immediato ristoro alle vittime di estorsione che hanno avuto il coraggio di denunciare? Insomma, la lotta alla mafia non può apparire solo una “operazione di polizia”: deve creare consenso sociale, deve coinvolgere emotivamente l’uomo della strada. Ogni cittadino deve sentirsi un piccolo soldato in questa trincea. Solo così possiamo evitare che la ricorrenza del 23 maggio – ma anche quella del 19 luglio, come di ogni altra celebrazione dedicata alla memoria – appaia uno sterile via vai condito da tante parole, ma da pochi fatti».