Ero certo che sussistessero elementi sostanziali per considerare altamente diffamatorie quelle dichiarazioni nei miei confronti. Il rinvio a giudizio di Alessandro Di Battista può innescare un processo che va al di là della vicenda in sé, perché può restituire valore e dignità alle parole anche in quel “far west dialettico” in cui oggi è stato trasformato il dibattito politico. Una storia che potrebbe ridimensionare una tendenza deleteria e sempre più diffusa: quella secondo cui l’avversario politico è un nemico da abbattere con tutti i mezzi, anche i più infimi, addirittura attraverso la costruzione di “favole” in cui si mettono in scena personaggi mai esistiti.
Questo non è più tollerabile.
Pur rimanendo un convinto garantista anche nei confronti di Alessandro Di Battista, la cui colpevolezza sarà eventualmente certificata al culmine del fisiologico iter processuale, ho deciso di denunciare questa vicenda perché sono convinto che la verità e la giustizia siano valori fondamentali nella vita di ognuno di noi.
E nell’era delle fake news e della retorica politica scollegata dalla verità, smascherare chi tenta di mistificare la realtà, ergendosi peraltro a paladino del cambiamento, può rappresentare un primo passo per la restaurazione della decenza e del rispetto verso le persone, anche se si tratta di un competitor politico.
Il vero cambiamento sarebbe questo, non di certo quello promesso da Di Battista e da quel Movimento che ha costruito la propria identità attraverso la costante demonizzazione degli avversari. Uno stratagemma che non si regge più in piedi. Ma del resto le recenti competizioni elettorali e tutti i sondaggi lo hanno già detto chiaramente.
Il Re, ormai, è nudo.